La sindrome post COVID-19


Di che si tratta?

Negli anni più recenti abbiamo assistito a due epidemie provocata da coronavirus: la Sindrome Respiratoria Acuta Severa (SARS) e la Sindrome Respiratoria del Medio Oriente (MERS). In ambedue le condizioni, avvenuta la guarigione clinica, si sono manifestate complicanze nel lungo termine. Nel caso di COVID-19 sono sempre più frequenti le pubblicazioni che segnalano la persistenza di sintomi dopo il recupero dalla fase acuta; gli stessi CDC affermano che dopo la malattia possono esservi conseguenze su differenti organi e sistemi. Tali risultati coinvolgono tutte le fasce di età, anche se più frequenti in anziani e persone con fattori di rischio. Stime affidabili di tale morbilità sono molto importanti, in quanto rappresentano la base da cui partire per definire politiche di salute pubblica.

Che cosa si è cercato di fare?

Sul tema delle complicanze nel lungo termine, associate a COVID- 19, Nesserie T. e coll. hanno effettuato una revisione sistematica della letteratura, allo scopo di identificare frequenza e caratteristiche dei sintomi “persistenti”. Nel condurre tale indagine hanno anche cercato di selezionare (obiettivo secondario) studi che avrebbero potuto aiutare a meglio definire le modalità di conduzione di future ricerche sull’argomento allo scopo di poter ottenere una maggiore comparabilità dei risultati.

Sono state analizzate pubblicazioni comprese nel periodo 1 ° gennaio 2020 – 11 marzo 2021, e selezionati studi in cui la “persistenza” dei sintomi era definita da

  • Durata: almeno 60 giorni dalla diagnosi
  • Nuova insorgenza di sintomi e/o ricovero: almeno 30 giorni dopo guarigione dalla malattia acuta o dimissione dall’ospedale.

 La selezione ha riguardato solo articoli in lingua inglese, relativi a studi di coorte con follow-up chiaramente definito. Sono stati esclusi studi su singoli casi clinici, serie di casi e studi che descrivevano i sintomi solo al momento dell’infezione e / o del ricovero.

Che cosa è emerso dalla ricerca?

Dall’esame di quanto prodotto in letteratura, sono stati selezionati 47 studi con un numero totale di 9751 partecipanti, di cui il 54% di sesso maschile.  I sintomi definiti “persistenti” sono stati: affaticamento e mancanza di respiro, ambedue debilitanti e presenti nella maggior parte dei soggetti; dolore toracico, nel 14% dei pazienti; difficoltà di concentrazione e deficit neuro cognitivi, nel 25% dei pazienti.

I sintomi denunciati erano coerenti con alterazioni biochimiche e con indagini radiologiche che testimoniavano la presenza di anomalie organiche. In particolare

  • con la  Risonanza Magnetica si sono evidenziate anomalie tissutali a livello polmonare (60%), renale (29%), cardiaco 26%, epatico (10%)
  • rispetto a soggetti non COVID-19, era maggiore la probabilità di identificare anomalie  nelle regioni cerebrali associate a olfatto e memoria
  • anomalie cardiache sono risultate frequenti, probabilmente correlate a flogosi del miocardio.

Inoltre, sebbene la maggior parte degli studi non stratificasse i risultati in base all’età, in 30 l’età media o mediana risultava inferiore ai 60 anni e in 14 uguale o inferiore a 50 anni. Tale dato indicherebbe che una più giovane età non è esente dal manifestare sintomi “persistenti”.

Quali conclusioni si possono trarre?

La revisione ha dei limiti, legati alle differenti modalità di conduzione dei differenti studi analizzati e quindi alla difficoltà di uniformare i risultati finali: tra questi, la possibilità di correlare la persistenza con la gravità della malattia, specie in pazienti ambulatoriali, oppure la differente standardizzazione delle definizioni per cui risulta difficile confrontare sia la frequenza dei sintomi che la loro gravità. Inoltre, non sempre è ben definito il tempo zero, con conseguente imprecisione sulla reale durata dei sintomi, e spesso è mancato il gruppo di controllo. Tale eterogeneità sottolinea la necessità di standardizzare la metodologia per studi futuri, allo scopo di rendere comparabili e validare strategie di reclutamento e modalità di follow up, e per misurare su basi più solide i risultati finali. Nonostante tali limiti, la revisione ha evidenziato che dopo la fase acuta dell’infezione i sintomi possono persistere a lungo: ciò rappresenta un peso per il paziente e la sua famiglia, ma anche per quanto attiene all’ambito della assistenza sanitaria, della sanità pubblica e, non ultimo, dell’economia. Il problema della persistenza dei sintomi è reale, e la revisione può aiutare a migliorare la qualità di studi futuri riducendo eterogeneità nella progettazione e nella rendicontazione, a tutto vantaggio di conseguenti più mirati interventi sulla salute.

Riferimenti

Nasserie T. et al. Assessment of the Frequency and Variety of Persistent Symptoms Among Patients With COVID-19A Systematic Review. JAMA Netw Open. 2021;4(5):e2111417. https://jamanetwork.com/journals/jamanetworkopen/fullarticle/2780376