COVID-19 e disinformazione


Che cosa dovrebbero fare i medici quando i pazienti sono male informati sulla propria salute?  La disinformazione è un problema di vecchia data, oggi ancor più esacerbato dai social media, a volte con conseguenze pericolose. Con la pandemia da COVID-19 si è raggiunto il culmine.

Brian Southwell, Senior Director of the Science in the Public Sphere Program, ha condotto un seminario di formazione su questo tema: ecco alcune domande che gli sono state rivolte e le relative risposte.

Come si è evoluta la disinformazione sulla salute con Internet e con i social media?

La disinformazione è presente da tempo. Oggi c’è una serie vertiginosa di informazioni rapidamente disponibili. Quando si legge qualcosa di cui si è entusiasti o interessati, si cerca di condividere molto rapidamente: ci si preoccupa che le persone ne vengano a conoscenza e che l’informazione, o la disinformazione, sia diffusa in tutti i modi. Un aspetto negativo dei social media è la difficoltà di tracciare il lignaggio o la paternità delle informazioni: potrebbero essere legittimate, ma anche non veritiere. Di questo infatti dovremmo preoccuparci, che le informazioni siano utili e credibili.

Che tipo di disinformazione sanitaria è più comune sui social media?

Le persone usano i social media non solo per la ricerca della verità in sé, ma anche per connettersi tra loro e legarsi gli uni agli altri. Se pensiamo all’informazione, e potenzialmente alla disinformazione, in termini di “valore in sé”, non c’è da sorprendersi se parte di ciò che viaggia sui social media sia sensazionale o appaia direttamente collegato alla vita di tutti i giorni. E’ proprio questo ciò che è rilevante e che conta.

Una disinformazione riferita al benessere personale o dei propri cari non solo ottiene attenzione, ma è più probabile che venga condivisa. Informazioni scientifiche sono ritenute astratte, “distanti” dalla vita quotidiana, e probabilmente meno condivisibili. E’ più facile creare qualcosa di sensazionale o rilevante, specie se corrisponde a ciò che la gente desidera, senza necessariamente preoccuparsi che ciò sia vero!

 E pensare che chi opera nell’ambito della scienza o della medicina, prima di diffondere i risultati di proprie ricerche, deve sottostare a rigide regole di riviste peer-reviewed!

Perché le persone credono facilmente a disinformazioni sulla salute?  

C’è un dibattito in psicologia su come si comportano le persone davanti ad informazioni false. Il filosofo Cartesio pensava essenzialmente che le persone potessero conoscere una data cosa solo nel momento in cui la vedevano; il resto era da scartare. Spinoza invece sosteneva che recepiamo tutte le informazioni, ma solo un po’ più tardi diamo loro un significato. Questa leggera esitazione, tra acquisizione di informazioni e l’etichettarle come false o vere, fa la differenza: vi è infatti tempo sufficiente per condividere potenzialmente qualcosa sui social media.

La domanda è: “Cosa fare per incoraggiare le persone a prendersi quel momento in più per valutare criticamente ciò che vedono?”  L’accettazione della disinformazione dipende dal fatto che come esseri umani abbiamo bisogni particolari, in molti modi quasi universali: necessità di essere sociali e di connetterci con altre persone; bisogno di speranza per il futuro; necessità per la sicurezza e la protezione di base, la salute e il benessere.

Osservando i modelli di accettazione della disinformazione emerge che le persone trovano informazioni proprio su queste cose indipendentemente dal fatto che siano false o imprecise. Se una disinformazione offre speranza per il futuro, si trasforma in qualcosa di cui occuparsi. Oppure, se la disinformazione ha entusiasmato un collega, un amico o un familiare, e questi l’hanno condivisa, diventa importante entrare in contatto: questo, a volte, può prevalere su di un eventuale personale giudizio critico. L’accettazione della disinformazione potrebbe anche essere vista come un bisogno delle persone di dare un senso a questo mondo pazzo e caotico. In riferimento alle teorie del complotto, alla radice potrebbe esserci la speranza di una spiegazione per una situazione ritenuta molto problematica; in qualche modo si vuole dare una veste razionale a ciò che altrimenti sembra un futuro aperto e incerto.

Perché si preferisce credere che la pandemia sia una bufala, o qualcosa che non ha bisogno di essere presa sul serio?

E’ probabile che per alcune disinformazioni le persone si aggrappino a qualcosa che dà coraggio: è più facile pensare che non stiamo effettivamente affrontando una pandemia e ciò potrebbe spiegare il successo della teoria del complotto.

Inoltre, le persone sono alla ricerca di un modo relativamente comodo e facile per affrontare un problema pieno di incognite e minacce.  Tra le disinformazioni su COVID-19 vi è stata quella di ritenere che bere molta acqua protegge dal virus o ne facilita l’eliminazione: l’informazione è così banale che è difficile credere possa esser stata presa in considerazione! E’ invece importante notare che, pur essendo falsa o imprecisa, in qualche modo offriva una spiegazione o un’azione concreta che chiunque avrebbe potuto intraprendere. Chi si aggrappa a informazioni che sembrano negare gli ampi contorni della pandemia probabilmente soffre di un senso di incertezza o di paura, che tende a mitigare con false informazioni.

Che cosa si può fare per contrastare la disinformazione in ambito medico?  

Molti medici hanno vissuto l’esperienza frustrante di pazienti che hanno preferito la disinformazione online o riferita da qualcun altro.  Ecco alcune idee sul che cosa fare.

  • Prima di tutto, si dovrebbe pensare alla psicologia del paziente e non concentrarsi subito su quanto sia sbagliato il riferimento ad una certa disinformazione: dobbiamo essere consapevoli che tutti siamo vulnerabili alla disinformazione.
  • È importante gestire la conversazione. In occasione di una visita medica, in genere di breve durata, non si deve perder tempo a screditare le fonti né a dare spiegazioni troppo tecniche per contrastare la disinformazione
  • Non si deve ridicolizzare il paziente per aver sbagliato; è invece utile fare domande, una breve conversazione per chiarire ciò che per lui è importante, al fine di indirizzare verso informazioni credibili
  • Tale compito non può esser svolto solo dal medico: occorre ripensare l’organizzazione sanitaria, a differenti ruoli da sviluppare e a differenti opportunità che potrebbero nascere. Non ultimo tra questi, come gestire domande frequenti attraverso un sito web costantemente aggiornato.

L’obiettivo è convincere il paziente che è sbagliato ciò in cui crede?

Non è possibile, la visita medica dura troppo poco.  “Conoscere” il paziente in modo differente potrebbe essere d’aiuto. Celebrare la conversazione come una vittoria in sé e per sé, è cruciale: potenzialmente si viene a creare l’opportunità di reindirizzare a informazioni più credibili.

Inoltre, c’è da festeggiare il fatto che quel paziente ha portato qualcosa all’attenzione del medico: si è fidato abbastanza per poterne parlare.  Non esiste solo la ricerca su Internet e, forse, non esiste sufficiente connessione con il sistema sanitario!

Come evitare che i medici diventino sprezzanti in occasione di questi incontri?

Innanzitutto siamo essere umani, ed è difficile nascondere la propria reazione davanti alla disinformazione. La cosa importante è ascoltare, e non indirizzarsi subito verso la risposta esatta. E’ necessario essere umili, nel senso di non esagerare con le proprie certezze. Il paziente non è venuto per offendere o per mettere in discussione le conoscenze del medico; vuole consultare un esperto e potrebbe essere entusiasta o aver trovato le informazioni che cercava.

Non fa bene a nessuno vincere in una discussione momentanea, specie se la conseguenza per il paziente è perdere la fiducia o non essersi sentito a proprio agio. Si tratta di provare ad avere più pazienza, di continuare a vederci come esseri umani che interagiscono tra loro, più tolleranti l’uno con l’altro, e di renderci conto che parte del percorso non è avere risposte per ogni questione bizzarra sollevata dal paziente. Perdere un momento in più nell’ascolto potrebbe essere utile ad entrambi.

Riferimenti

Jennifer Abbasi. COVID-19 Conspiracies and Beyond: How Physicians Can Deal With Patients’ Misinformation. JAMA. December 30, 2020. https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2774709