Fino a pochi decenni fa, il diabete di tipo 2 era considerato una condizione che colpiva quasi esclusivamente le persone oltre i 50 anni, spesso legata a uno stile di vita sedentario e a un lento declino metabolico dovuto all’età. Oggi questo scenario è completamente cambiato. Sempre più giovani – adolescenti, ventenni e trentenni – ricevono una diagnosi che un tempo riguardava solo genitori e nonni. Non è una variazione casuale, ma un vero e proprio cambiamento epidemiologico su scala globale.
A lanciare l’allarme è The Lancet, una delle più autorevoli riviste scientifiche al mondo, che parla di “grande transizione del diabete” per descrivere questa nuova ondata. E se non viene fermata per tempo, rischia di diventare una bomba sanitaria e sociale.
Un’epidemia silenziosa tra i giovani
In tutto il mondo, il diabete tipo 2 sta aumentando a ritmi sostenuti. Ma a preoccupare davvero è la sua diffusione tra i più giovani. Non parliamo solo di trentenni, ma anche di adolescenti e – in casi sempre meno rari – bambini. In questi soggetti, la malattia si presenta con caratteristiche diverse rispetto all’adulto: è spesso più aggressiva, più veloce nel progredire e più difficile da gestire. Colpisce soprattutto chi è in sovrappeso o obeso, ma può manifestarsi anche in ragazzi normopeso, specie se appartengono a gruppi etnici geneticamente predisposti.
Le popolazioni del Sud-Est asiatico, gli afrodiscendenti e i nativi americani, ad esempio, hanno un rischio più alto, anche a parità di peso corporeo. La crescente esposizione a cibi ultra-processati, stili di vita sedentari e ambienti obesogeni ha reso le nuove generazioni vulnerabili in un modo che fino a pochi anni fa sembrava impensabile.
Perché è più pericoloso da giovani?
Il diabete che si sviluppa presto nella vita ha effetti devastanti. Se una persona riceve la diagnosi a 15, 20 o 30 anni, ha davanti a sé decenni in cui la malattia può progredire e danneggiare gli organi principali. Il rischio di complicanze – come la retinopatia diabetica (che può portare alla cecità), la nefropatia (che può sfociare in insufficienza renale), le malattie cardiovascolari e la neuropatia – è molto più alto rispetto a chi sviluppa il diabete in età più avanzata.
E tutto questo accade nel pieno della vita, quando si studia, si lavora, si viaggia, si costruisce una famiglia. L’impatto non è solo personale, ma collettivo: si traduce in giornate di lavoro perse, spese sanitarie crescenti, perdita di produttività e, soprattutto, una qualità della vita compromessa. Il diabete giovanile ha un costo invisibile che ricade sull’intera società.
Non è solo una questione di peso
Sebbene l’eccesso di peso e l’obesità – soprattutto se inizia in età infantile – siano i principali fattori di rischio, non bastano da soli a spiegare l’aumento dei casi. In molte regioni del mondo, giovani con un peso apparentemente normale ricevono comunque una diagnosi di diabete di tipo 2. Questo accade perché ci sono altri meccanismi in gioco: una predisposizione genetica a produrre meno insulina, un accumulo di grasso invisibile ma dannoso (il cosiddetto grasso viscerale o ectopico, spesso concentrato nel fegato o intorno agli organi interni), e persino fattori prenatali. Per esempio, un feto esposto a un ambiente intrauterino alterato – come nel caso di una madre obesa o con diabete gestazionale – ha un rischio più alto di sviluppare disfunzioni metaboliche già nei primi anni di vita.
A tutto ciò si aggiungono i determinanti sociali: in molti Paesi ad alto reddito, i giovani delle fasce più povere vivono in ambienti con poche opportunità per muoversi, accedere a cibo sano o ricevere cure tempestive. Nei Paesi in rapido sviluppo economico, come l’India o il Brasile, invece, il rischio cresce tra le fasce più abbienti, che adottano rapidamente stili di vita occidentali: meno attività fisica, più fast food, più stress urbano.
Un problema globale, sfaccettato e locale
Il diabete giovanile non si distribuisce in modo omogeneo nel mondo. In alcuni Paesi l’incidenza è ancora bassa, ma in altri sta esplodendo. Le aree con l’aumento più rapido includono il Sud Asia (in particolare India, Pakistan e Bangladesh), il Medio Oriente (Egitto, Arabia Saudita), l’America Latina e alcune isole del Pacifico. Qui i cambiamenti sociali e ambientali sono spesso più rapidi dei sistemi sanitari, che faticano a rispondere. Anche in Europa e Nord America si osserva una crescita, sebbene con ritmi più contenuti. In ogni contesto emergono fattori specifici: nelle città industrializzate incide la sedentarietà, nei contesti rurali la mancanza di prevenzione, nelle aree inquinate l’esposizione a sostanze che alterano il metabolismo. Non esiste una soluzione universale: servono strategie su misura, costruite sui bisogni locali.
Molti giovani non sanno di averlo
Uno degli aspetti più insidiosi del diabete giovanile è la sua capacità di rimanere silente per anni. Molti giovani adulti convivono con la malattia senza saperlo, perché non presentano sintomi evidenti. Il diabete può avanzare lentamente, danneggiando il corpo senza dare segnali fino a quando non compaiono complicanze serie.
Il problema è aggravato dal fatto che le strategie di screening sono spesso pensate per chi ha più di 40 anni o presenta già fattori di rischio noti. Questo lascia fuori milioni di giovani che, pur senza apparenti problemi, sono in una fase critica per la prevenzione. La diagnosi arriva tardi, spesso quando i danni sono già in atto, rendendo più difficile la gestione e aumentando il rischio di complicanze gravi.
Si può ancora prevenire
La buona notizia è che il diabete giovanile non è inevitabile. Cambiare rotta è possibile, ma bisogna iniziare presto. Una dieta bilanciata, attività fisica regolare, un buon ritmo sonno-veglia e la riduzione del consumo di cibi industriali e zuccherati sono azioni semplici ma potenti. Tuttavia, non si può lasciare tutto sulle spalle dei singoli. È necessario che le istituzioni creino ambienti favorevoli: scuole con pasti sani e tempo per muoversi, città progettate per camminare e fare sport, limiti alla pubblicità di junk food destinata ai minori, e un sistema sanitario accessibile.
Anche la salute prima della nascita gioca un ruolo fondamentale: curare l’alimentazione e il benessere della madre in gravidanza riduce il rischio di malattie metaboliche nei figli. In altre parole, prevenire il diabete giovanile significa costruire salute lungo tutto il corso della vita.
Guardare in faccia il problema per agire
Il diabete di tipo 2 a esordio precoce non è più un’eccezione. È un fenomeno in espansione che ci obbliga a ripensare tutto: la prevenzione, la diagnosi, l’educazione sanitaria e persino la progettazione degli spazi in cui viviamo. È una malattia che nasce da disuguaglianze profonde, abitudini sbagliate, mancanze educative e ambienti poco salutari. Fingere che non esista o che riguardi solo “gli altri” significa perdere tempo prezioso.
Come ASPIC, crediamo che la soluzione cominci da una consapevolezza diffusa e da politiche lungimiranti. Investire sui giovani, sulle scuole, sulle famiglie e sulle comunità più fragili non è un’opzione, ma una necessità. Un futuro più sano è possibile. Ma bisogna iniziare ora. E insieme.
Riferimenti
Andrea Luk et al. Early-onset type 2 diabetes: the next major diabetes transition. The Lancet, June 28, 2025. https://www.thelancet.com/journals/lancet/article/PIIS0140-6736(25)00830-X/fulltext
