Immunità e infezione da SARS-CoV-2. Non tutto è già chiarito


All’inizio della pandemia di COVID-19 gli esperti ritenevano che chi avesse sviluppato anticorpi sarebbe stato immune dalla reinfezione, almeno temporaneamente; ciò gli avrebbe consentito di rientrare nella società senza mettere a rischio se stesso o gli altri. Con l’evolversi della pandemia, il concetto di passaporto per l’immunità, basato sulla presenza di anticorpi, non ha funzionato. L’accuratezza dei primi test non era dimostrata: in particolare erano sconosciuti i cosiddetti “correlati di protezione”. Quali anticorpi proteggono dalla reinfezione da SARS-CoV-2? Quanto elevato deve essere il loro livello? Per quanto tempo possono fornire una difesa affidabile?

Con il progredire della pandemia l’interesse del pubblico per il dosaggio anticorpale è andato diminuendo.

Tuttavia, con l’arrivo dei vaccini si è riacceso l’interesse: “Può un semplice esame del sangue rivelare se il vaccino ha funzionato, oppure se è il momento di sottoporsi ad una dose di richiamo?

Food and Drug Administration (FDA) statunitense ha scoraggiato i test anticorpali come controllo dell’immunità fai-da-te; negli USA vi sono ditte che promettono test sierologici per SARS-CoV-2 che “identificano correttamente il numero di anticorpi neutralizzanti con specificità del 100% e che, dopo vaccinazione o infezione, nell’arco di 24-48 ore permettono di conoscere se il sistema immunitario sta ancora proteggendo da COVID-19”.

Oggi gli esperti segnalano la preoccupante tendenza da parte di molte persone di effettuare il test solo per sapere se hanno “reagito” al vaccino o se hanno acquisito “immunità”

Oggi, che cosa è noto sul significato dei test sierologici?

I test sierologici SARS-CoV-2, autorizzati da FDA per l’uso d’ emergenza, hanno dimostrato un’elevata sensibilità e specificità nel rilevare la presenza di anticorpi. Tuttavia, la loro capacità di prevedere la protezione contro il virus non è stata dimostrata. FDA ha avvertito che a seconda del test utilizzato possono essere evidenziati anticorpi indotti dall’infezione naturale, e che soggetti immuni, in quanto vaccinati, possono risultare negativi all’indagine sierologica. In una comunicazione risalente al 19 maggio, FDA ha dichiarato che “i risultati dei test sugli anticorpi SARS-CoV-2, attualmente autorizzati, non devono essere utilizzati per valutare, in qualsiasi momento, il livello di immunità o di protezione da COVID-19, soprattutto se la persona è stata sottoposta a vaccinazione”. Il problema non riguarda solo il fatto che i test non sono stati progettati per valutare l’immunità, ma anche che gli anticorpi protettivi e le loro soglie non sono stati ancora completamente definiti.

Si è dimostrato che gli anticorpi che si “correlano con la protezione” sono anticorpi neutralizzanti e si legano alla proteina spike di SARS-CoV-2. Studi di fase 2 e 3 hanno dimostrato che titoli elevati si associano a maggiore protezione: tuttavia “non si tratta di una relazione semplice, in quanto non esiste un titolo che permette di affermare se una persona è protetta”. Inoltre, diverse soglie anticorpali neutralizzanti possono essere correlate alla protezione contro la malattia asintomatica, sintomatica o grave.

In Israele, un recente studio su 39 casi di infezione emerse tra 1497 operatori sanitari completamente vaccinati (vaccino BNT162b2-pfizer-BioNTech) ha dimostrato che i livelli di anticorpi neutralizzanti erano inferiori a quelli di operatori non infetti. Sebbene i livelli di anticorpi fossero associati a protezione, non è stato possibile individuare il valore soglia. I ricercatori confermano che soggetti “con anticorpi neutralizzanti possono essere infettati: titoli anticorpali elevati sono maggiormente protettivi, ma non è ancora noto quanto il livello debba essere elevato”.

Al momento i test di laboratorio non sono standardizzati: alcuni danno semplicemente un risultato positivo o negativo, senza indicare valori anticorpali. Test quantitativi utilizzano metodi diversi, rilevano classi anticorpali diverse e riportano valori utilizzando unità di misura diverse. Per poterli correlare a soglie di protezione, i test devono essere standardizzati e calibrati, come è stato fatto per altre malattie prevenibili con vaccino, tra cui tetano, difterite e morbillo.

Inoltre, tutti gli anticorpi si legano al bersaglio ma solo alcuni lo neutralizzano, e quasi nessuno dei test clinici autorizzati li distingue. Alcuni studi avrebbero dimostrato una correlazione tra livelli di anticorpi leganti e neutralizzanti, ma tale corrispondenza è ancora imperfetta. Al momento, tra i test in commercio per anticorpi SARS-CoV-2, solo quello della Ortho-Clinical Diagnostics è stato calibrato secondo lo standard definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

Cosa fare nell’attesa di un test che chiarisca le aspettative?

Un forte argomento contro l’uso di esami del sangue è che gli anticorpi circolanti non danno un quadro completo dell’immunità nei confronti di SARS-CoV-2.  La componente immunologica associata alla protezione è rappresentata dalle cellule B e T della memoria immunologica; tali cellule non producono anticorpi, ma “ricordano” di aver già visto la proteina spike SARS-CoV-2.  Dopo infezione naturale o vaccinazione, gli anticorpi circolanti contro il virus raggiungono il picco e dopo 2-3 mesi iniziano a diminuire. Il fatto che si assista ad una diminuzione dei livelli di anticorpi non significa necessariamente che l’immunità stia scomparendo. La capacità del sistema immunitario di montare una difesa dura più a lungo e molti studi hanno documentato che le cellule della memoria persistono per almeno 6-8 mesi, continuano ad evolvere e a maturare. Nessuna di tali informazioni è trasmessa attraverso un test anticorpale.

La reinfezione con il virus attiva le cellule B della memoria che si differenziano in cellule secernenti anticorpi. Tale processo può richiedere da 3 a 5 giorni, non impedisce il verificarsi dell’infezione da SARS-CoV-2, ma limita la comparsa di COVID-19 grave. Ad oggi i dati suggeriscono che la protezione indotta dal vaccino mRNA contro l’infezione e la malattia sintomatica stia diminuendo, ma che la dose di richiamo aiuti a prevenire malattia grave, ospedalizzazione e morte.

Attualmente il richiamo è autorizzato solo per persone a maggior rischio di malattia grave: adulti di età => 65 anni, con patologie di base, che vivono o lavorano in ambienti ad alto rischio, o residenti in strutture per lungodegenti.

Quando gli anticorpi diminuiscono, aumenta la suscettibilità alle infezioni asintomatiche o più lievi. Un recente studio statunitense ha evidenziato che dopo 6 mesi il vaccino BNT162b2 era efficace al 93% contro i ricoveri affetti da variante Delta, ma la sua efficacia si era ridotta al 53% dopo 4 mesi. Tale fatto è da ricondurre alla diminuzione dell’immunità, più che ad una fuga della variante dalla protezione vaccinale.

Ovviamente, non è pensabile utilizzare richiami periodici per mantenere alto il livello di anticorpi neutralizzanti: avere elevati livelli nel sangue non impedirà al virus di aderire alla mucosa nasale e di iniziare a replicare. Il consiglio per evitare l’infezione è pertanto ancora lo stesso: vaccinazione, lavaggio delle mani, uso della mascherina, evitare il sovraffollamento, specie in luoghi in cui sono segnalati elevati tassi di infezione

Riferimenti

Jennifer Abbasi. The Flawed Science of Antibody Testing for SARS-CoV-2 Immunity.

JAMA. October 21, 2021. doi:10.1001/jama.2021.18919 https://jamanetwork.com/journals/jama/fullarticle/2785530