I virus: problema del futuro


Una delle più grandi sfide globali del futuro è rappresentata dall’aumento di malattie infettive “emergenti”, cioè mai viste prima o semmai solo sporadicamente e in aree confinate, come risultato della aumentata interazione dell’uomo con animali selvatici e dei cambiamenti climatici che producono nuove modalità di trasmissione delle malattie (es. zanzare e altri vettori).

Tralasciando SARS-COVID-19 e varianti, che continua a dominare l’attualità, vale la pena parlare brevemente di alcuni altri virus che, sebbene non siano nella cronaca allarmistica quotidiana, richiamano l’attenzione degli scienziati, dei medici e dei centri di sorveglianza epidemiologica dalla loro defilata diffusione crescente.

I virus sono un grande problema, anche per il fatto che non esistono contro di loro farmaci “facili”, come sono gli antibiotici nei confronti dei batteri. Anche se la pandemia COVID ha indotto l’industria farmaceutica ad intensificare le ricerche, e un enorme quantità di denaro vi è stata investita, gli antivirali sono pochi e molto costosi. L’unica arma a disposizione sono i vaccini, e qui la ricerca, spronata dall’emergenza, ha fatto fortunatamente passi da gigante.

Virus del Nilo occidentale (West Nile Virus)

Il virus del Nilo è uno dei virus che possono passare dagli animali (principalmente uccelli selvatici, ma anche cavalli, cani e altri mammiferi) all’uomo. Dai serbatoi animali il virus è trasmesso all’uomo da diverse specie di zanzare e da zecche. Si tratta di un virus a RNA della famiglia dei Flavivirus, la stessa di HCV, la cui presenza in casi sporadici era già nota in Africa, Asia, Europa e Medio-Oriente, dove oggi è diventato endemico. In Europa è comparso nel 1958 e in Italia dal 2008. Dal primo caso accertato negli USA nel 1999 a New York City, l’infezione si è diffusa in tutto il continente nordamericano.

L’infezione è per lo più asintomatica o responsabile di una malattia lieve, della durata di 3-6 giorni, caratterizzata da stanchezza, debolezza muscolare, perdita di sensibilità, scarsa resistenza alla fatica. Ma nell’1% dei colpiti la malattia assume una forma neuro-invasiva fino alla paralisi flaccida o spasticità, meningo/encefalite, fotofobia, disturbi mentali, disturbi respiratori e comparsa di un rash eritematoso morbilliforme, o con maculo-papule su collo, tronco e arti. Possono residuare sequele neurologiche disabilitanti e/o complicazioni polmonari che possono portare alla morte nel 3-15% dei casi. La morbidità e mortalità sono più alte nei soggetti con più di 50 anni, con rischio elevato sopra i 75 anni. Attualmente il test sierologico per la ricerca degli anticorpi IgM (anticorpi presenti durante la malattia, che successivamente scompaiono) è il metodo migliore per confermare la diagnosi.

Non esistono cure specifiche o vaccini, peraltro attualmente in sperimentazione. Sono utili i farmaci antipiretici e antinfiammatori di supporto. La parte più importante è la prevenzione finalizzata alla riduzione delle punture degli insetti vettori, soprattutto le misure atte a contenere la puntura di zanzare.

Virus del vaiolo delle scimmie (Monkeypox Virus)

Si tratta di un virus simile a quello del vaiolo, che causa una malattia caratterizzata da un’eruzione cutanea a macule/pustole, talora molto dolorose. La malattia è però meno grave, anche se in Africa ne circola una forma potenzialmente letale. Il primo focolaio del virus fu scoperto nel 1958 in scimmie da ricerca, e inizialmente era limitato ad aree dell’Africa centrale e occidentale. Negli ultimi mesi però si è diffuso praticamente in tutto il mondo, infettando decine di migliaia di soggetti, prevalentemente uomini che fanno sesso con uomini. L’infezione si trasmette da persona a persona per contatto fisico stretto con le lesioni pustolose, ma anche toccando materiali, come vestiti o lenzuola, che siano state a contatto con l’eruzione, o per via respiratoria (tosse, sternuti). Il virus può passare dalla madre al feto via placenta, o per stretto contatto durante e dopo il parto.

Il vaccino contro il vaiolo (sviluppato nell’ambito di un programma contro il bioterrorismo dopo l’11 settembre) è efficace contro il virus della scimmia, ma non è disponibile su larga scala: come non lo è il farmaco antivirale Tecovirimat, molto costoso. Un comportamento sessuale attento e il consulto immediato di un medico in caso di sospetta malattia sono le armi contro la diffusione del virus.

Virus Zika

Anche questo virus a RNA appartiene alla famiglia dei Flavivirus. Isolato per la prima volta nel 1947 in una scimmia della foresta Zika in Uganda, e nel 1948 in una zanzara africana, che è di fatto il vettore di trasmissione all’uomo. Il primo caso umano riportato è del 1952. Da allora il virus si è largamente distribuito al di fuori dell’Africa, ma è rimasto relativamente sconosciuto fino al 2007, quando nelle isole del Pacifico meridionale si sono verificate le prime epidemie su larga scala. Un grande focolaio ha riguardato le Americhe, particolarmente il Brasile, nel 2015-2016, per poi estendersi agli USA inizialmente tramite i viaggi e successivamente per trasmissione locale, tanto che nel febbraio 2016 la WHO ha dichiarato Zika una emergenza sanitaria pubblica. Trasmissione locale significa che le persone vengono punte da una zanzara infetta nel luogo in cui vivono o lavorano, e non durante un viaggio in Paesi con focolai in atto.

Si stima che nell’80% dei casi l’infezione sia asintomatica. I sintomi, quando presenti, sono simili a quelli di una sindrome simil influenzale autolimitante, della durata di circa 4-7 giorni, a volte accompagnata da rash maculo papulare, artralgie, mialgie, cefalea e congiuntivite. La preoccupazione è motivata da un aumento dei casi di sindrome di Guillain-Barré, malattia dei nervi periferici che si manifesta con paralisi progressiva agli arti (in genere, prima le gambe e poi le braccia) in seguito a infezione da Zika. Inoltre, è stato registrato un aumento delle nascite di bambini con microcefalia congenita, nati da donne che hanno contratto il virus durante la gravidanza.

Sebbene dal 2017 la pandemia da Zika sia in declino, la sorveglianza epidemiologica globale è tuttora attiva.

Virus dell’epatite acuta pediatrica di origine ignota

Sebbene continui ad essere una malattia rara (dal 1° gennaio 2022, circa 1010 casi di epatite acuta di eziologia sconosciuta sono stati segnalati dalla OMS in 35 paesi), si tratta di una malattia grave che colpisce soprattutto bambini con meno di 5 anni di età, richiede il ricovero in terapia intensiva in circa il 40% dei casi, e talora il trapianto di fegato.

La causa e i meccanismi patogenetici della malattia sono ancora sconosciuti e oggetto di approfondite indagini. Tutti i virus delle epatiti A-E sono stati esclusi. Una possibile associazione con infezione da Adenovirus è stata sospettata, perché segnalata in alta prevalenza nei piccoli pazienti, ma questo virus da solo non spiega la gravità dei sintomi.

Studi recentissimi (luglio 2022) di autori britannici attribuiscono la malattia alla co-infezione di due virus: un Parvovirus siglato AAv2, mai associato a malattie precedentemente che, con l’aiuto di un altro virus (helper) diventerebbe gravemente patogeno. Il virus “helper” sarebbe appunto un Adenovirus o, meno frequentemente, un Herpesvirus.

Virus dell’influenza

I virus dell’influenza stagionale classica appartengono per lo più a due gruppi: gruppo A, che circolano sia nell’uomo che in altre specie animali, e gruppo B presenti solo nell’uomo. Tutti hanno la marcata tendenza a variare, cioè ad acquisire cambiamenti nelle proteine di superficie che permettono loro di aggirare la barriera immunitaria nella popolazione che in passato ha avuto l’infezione influenzale. Questo spiega perché la vaccinazione vada ripetuta ogni anno. Sono particolarmente da tenere d’occhio i virus del gruppo A, di cui la maggior parte origina negli uccelli selvatici. Può succedere che l’infezione possa essere trasferita dagli uccelli ad animali che vivono a stretto contatto con l’uomo, come il pollame e i suini. Emblematico è il caso della epidemia della cosiddetta influenza suina H1N1 del 2009, in cui il virus è passato da una popolazione di uccelli ai maiali. Qui il virus è mutato in modo da poter essere trasferito all’uomo che, una volta infettato direttamente dai maiali, ha iniziato a trasmetterlo ad altri umani.

Le infezioni respiratorie rappresentano il rischio più alto di creare una epidemia o pandemia, dopo la loro emergenza e la diffusione uomo-uomo, poiché gli infetti spesso creano aerosol tossendo, starnutendo o parlando a voce alta. Particolarmente temibile è stato il virus della influenza aviaria H5N1, che causava malattia grave con alto tasso di mortalità (fino al 90%) nel 2003, ma la cui capacità di infezione uomo-uomo fortunatamente era limitata. L’infezione era generata dal contatto con pollame infetto. Si ritiene che l’emergenza di possibili nuovi virus influenzali di tipo A sia una potenziale minaccia per la salute pubblica. Infatti, se questi virus acquisiscono la capacità di diffondersi facilmente da persona a persona, potrebbero causare la prossima pandemia.

Conclusioni

Si calcola che siano 1,6 milioni i virus sconosciuti che infettano le specie animali sulla terra, e tra questi si trovano forse i responsabili delle prossime pandemie. Largo quindi ai “cacciatori di virus”, che si organizzano in reti per condividere dati da tutto il mondo. Tale è il Global Virome Project che nei prossimi 10 anni tenterà di identificarne la maggior parte, o la Abbott Pandemic Defense Coalition (APDC), che rappresenta la prima collaborazione tra sistemi sanitari pubblici ed esperti accademici in una ricerca promossa da una compagnia privata.