Risposta immune in COVID-19. Considerazioni per una terapia personalizzata


Per comprendere la malattia da coronavirus (COVID-19) è necessario approfondire il complesso spettro della risposta immune.  L’infezione si sviluppa in tre fasi: periodo di incubazione asintomatico, una seconda fase con sintomi non specifici e non allarmanti, e una terza fase caratterizzata da una grave compromissione polmonare spesso accompagnata da insufficienza multiorgano. Molti pazienti guariscono rapidamente, altri invece possono avere un esito caratterizzato da ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome) prolungata e /o morte. La risposta immune sottesa alle manifestazioni cliniche sopra descritte comprende una precoce risposta immune innata a livello polmonare con effetto antivirale, favorente la rapida guarigione, e una risposta immune tardiva che invece contribuisce a generare il quadro grave e spesso mortale della malattia. Tale risposta è associata a quadri clinici (ARDS; MAS, Sindrome di Attivazione dei macrofagi; o semplicemente CRS, Sindrome da Risposta Citochinica) che caratterizzano anche altre patologie; è tuttavia molto probabile che nessuna di tali sindromi si adatti perfettamente a quella di pazienti COVID-19.

Identificare i processi biologici che stanno alla base di una disregolazione della risposta immune tardiva è il primo passo per mettere a punto terapie in grado di contrastarne gli effetti.

Processo infiammatorio iniziale.  Il target di SARS-CoV-2 sono le cellule che esprimono in superficie  il recettore ACE2.  A livello polmonare il virus infetta e altera gli epiteli del tratto respiratorio mucoso, alveolare, bronchiale e le cellule endoteliali. E’ soprattutto critico il danno alle cellule alveolari di tipo 2, in quanto svolgono importanti funzioni di stabilizzazione della barriera epiteliale e di rigenerazione in caso di danno. Inoltre, in risposta al danno alveolare provocato dal virus, secernono sostanze (citochine) che attivano e mobilitano macrofagi e altre cellule del sistema immunitario che concorrono a riparare il danno alveolare.

In pazienti lievemente sintomatici questa precoce risposta immune locale è sufficiente a contrastare gli effetti del virus e a ristabilire normali condizioni a livello del tratto respiratorio. In questa fase, il controllo dell’infezione virale è legato alla presenza di interferon e di citochine favorenti la differenziazione e l’attivazione di linfociti T, potenziandone le capacità (citolitiche) di distruggere le cellule infettate dal virus.

Disregolazione della risposta immunitaria. Si è osservato che in infezioni causate da SARS- CoV- 2, come anche da virus influenzali, la produzione di interferon può essere ritardata con conseguente soppressione della risposta immune innata della fase iniziale e replicazione virale senza controllo.  Tale disfunzione immunitaria adattiva è caratterizzata da riduzione di numero e di funzione di cellule immunitarie (linfociti T CD4 e CD8, e cellule NK) oltre che dall’esagerata espressione su linfociti T di molecole ad azione inibitoria (PD-1). Tali particolarità sono state osservate in pazienti che passano dallo stadio lievemente sintomatico ad uno stadio grave della malattia. Oltre a ciò, le difese dell’ospite possono essere compromesse anche per gli effetti del virus su di una citochina (GM-CSF) essenziale per lo sviluppo e la maturazione dei macrofagi alveolari, sentinelle del sistema immunitario innato contro patogeni respiratori.

Processo infiammatorio successivo. Il grave danno polmonare (rottura funzionale della barriera epiteliale, danno alveolare diffuso e maggiore permeabilità micro vascolare), provocato dalla replicazione incontrollata del virus, è contrassegnato dall’aumento nel sangue periferico di citochine ad azione pro – infiammatoria (IL6, IL-8, IL-1β) provenienti dal tessuto polmonare, e dal simultaneo reclutamento a livello alveolare di cellule immunitarie. Contemporaneamente, si verifica una risposta di contro-regolazione caratterizzata da aumento a livello locale e sistemico di citochine ad azione soppressiva (IL-10, TGF β). L’aumento sistemico concomitante di citochine pro- e anti-infiammatorie viene definito “Tempesta citochinica”: il braccio pro-infiammatorio può provocare alterata perfusione con peggioramento della funzione degli organi polmonari ed extra-polmonari, mentre il braccio anti-infiammatorio è responsabile di una grave soppressione della funzione dei linfociti circolanti (“Immunoparalisi”). L’ambiente pro-infiammatorio polmonare può sopraffare le funzioni di riparazione dei tessuti, con danni irreversibili per esaurimento dei macrofagi alveolari, elemento che caratterizza l’insufficienza respiratoria refrattaria osservata in pazienti COVID-19.  

Immunomodulazione, ma con prudenza. La maggior parte delle forme di malattia critica acuta hanno, alla radice, un insulto pro infiammatorio iniziale: sepsi e ARDS sono i classici esempi in cui gli effetti predominanti sono dovuti a una risposta esagerata dell’ospite. A partire dagli anni 1980-1990, in pazienti settici sono stati fatti numerosi studi mirati alla riduzione della risposta pro-infiammatoria attraverso la rimozione o il blocco di specifici mediatori pro-infiammatori.  Tali terapie, insieme a quelle che prevedevano l’uso di corticosteroidi ad alte dosi, si sono rivelate fallimentari. Studi attuali sono invece focalizzati sulla fase immunosoppressiva della risposta dell’ospite, essendosi osservato che la soppressione immunitaria, sia innata che adattiva, si verifica contemporaneamente alla “tempesta di citochine”. L’immunoparalisi è fortemente associata a esiti avversi, tra cui infezioni di origine nosocomiale, insufficienza prolungata multiorgano e morte. Sono in corso studi clinici che utilizzano GM-CSF ricombinante e anticorpi anti PD -1 per stimolare la funzione immunitaria, e studi con terapie anti – citochine (Anakinra e Tocilizumab).

E’ improbabile che esista un approccio terapeutico che vada bene in tutte le circostanze (“one size fits all”); terapie immunomodulanti di successo dovrebbero adattarsi in tempo reale al variare delle caratteristiche della risposta immunitaria. Pazienti con grave aumento di citochine pro – infiammatorie potrebbero trarre beneficio da Anakinra e Tocilizumab, per altri potrebbe essere invece necessario potenziare la funzione dei macrofagi alveolari con farmaci tipo GM-CSF. In linea generale, per il recupero della funzionalità polmonare si dovrebbe prevedere l’uso di immunomodulanti in grado di 1) favorire la riparazione del danno alveolare, 2) ripristinare le difese immunitarie dell’ospite e 3) ricreare un equilibrio tra risposte pro- e anti- infiammatorie.

Riferimenti

Hall MW et al. Immune modulation in COVID-19: Strategic considerations for personalized therapeutic intervention. Clinical Infectious Diseases, ciaa904, https://doi.org/10.1093/cid/ciaa904