Nel mondo della medicina contemporanea, l’Intelligenza Artificiale (IA) ha assunto un ruolo crescente, non solo nella diagnosi o nella gestione dei dati clinici, ma anche nella produzione della documentazione sanitaria. Uno degli ambiti più esplorati è quello della scrittura automatizzata delle note cliniche, particolarmente nella medicina di famiglia. Software come Microsoft Nuance DAX promettono infatti di trascrivere automaticamente le conversazioni tra medico e paziente, e generare, in pochi secondi, note cliniche ordinate secondo le classiche sezioni: anamnesi della malattia attuale, esame obiettivo, risultati e piano terapeutico.
Se da un lato questi strumenti rappresentano un indubbio progresso in termini di efficienza — consentendo di risparmiare ore di lavoro e ridurre il burnout dei medici, spesso costretti a completare le note cliniche la sera o nei fine settimana — dall’altro sollevano interrogativi profondi sulla qualità dell’assistenza e sul ruolo insostituibile del fattore umano nella pratica medica.
Un aspetto sorprendente, ma significativo, è che questi software tendono a escludere, per loro stessa progettazione, tutte quelle parti del colloquio medico-paziente considerate “non rilevanti” per la diagnosi o la codifica ICD-10. Vengono quindi filtrati i racconti sulla famiglia, i viaggi, le difficoltà lavorative o le passioni personali dei pazienti. Informazioni che, per un medico di famiglia, non sono affatto secondarie: aiutano a contestualizzare la malattia, a capire le possibili barriere all’aderenza terapeutica, a offrire supporti adeguati rispetto ai determinanti sociali della salute, e soprattutto a costruire fiducia.
Definire queste conversazioni come “chitchat”, ovvero chiacchiere, come fanno esplicitamente alcuni produttori di software, significa ridurre la medicina a un’interazione funzionale, trascurando il valore delle relazioni durature e dell’ascolto empatico. La relazione medico-paziente, specialmente nella medicina generale, non si esaurisce nel risolvere un sintomo, ma si fonda sulla continuità, sull’attenzione alla persona nella sua interezza, sulla capacità di “ricordarsi” dell’altro anche nelle piccole cose: come è andata la vacanza tanto attesa? Ha superato quel momento difficile al lavoro? La figlia è riuscita a curarsi?
Eliminare queste tracce dalla cartella clinica significa privare il medico della possibilità di “ritrovare” l’umanità del proprio paziente tra una visita e l’altra. Significa anche rischiare di perdere preziose opportunità di intervento: non sapere, ad esempio, che un paziente non assume più i farmaci perché ha perso il lavoro e non può permettersi il ticket; o che sta saltando gli appuntamenti per assistere un familiare malato.
La tecnologia, per quanto utile, non può decidere da sola che cosa è importante in una visita. Eppure, sempre più spesso, l’automatizzazione delle note cliniche si traduce in una perdita del “pensiero medico” individuale, soprattutto nella sezione più delicata della cartella: la valutazione clinica e il piano terapeutico. Quando questa viene generata automaticamente, si perde lo spazio riflessivo che consente al medico di formulare un giudizio clinico originale e personalizzato, spesso l’unico momento in cui si cristallizza il percorso diagnostico e si prende una decisione condivisa con il paziente.
A fronte di tutto questo, una riflessione si impone. L’Intelligenza Artificiale nella sanità non è un nemico da combattere, ma uno strumento potente da utilizzare con consapevolezza. Serve tuttavia un cambiamento di paradigma: non si può lasciare che la tecnologia detti le regole, spingendo verso un modello di cura impersonale, centrato sull’efficienza, sul numero di prestazioni e sulla riduzione del tempo di interazione. È necessario riaffermare il valore della medicina come scienza umana, fondata su relazioni, ascolto, attenzione e memoria condivisa.
Nell’attività di promozione della salute svolto da ASPIC, è ben noto quanto sia importante ascoltare, comprendere il contesto di vita delle persone, partire dalle loro parole per costruire percorsi di prevenzione personalizzati. È anche per questo che ci si interroga con attenzione sugli sviluppi dell’IA in medicina.
Forse la vera sfida oggi non è scegliere tra efficienza e umanità, ma progettare sistemi che permettano di conciliare entrambe. Sistemi in cui l’IA aiuti il medico, ma non lo sostituisca nel suo ruolo di “testimone partecipe” della vita dei propri pazienti.
Una medicina senza memoria, senza contesto e senza affetto è una medicina che rischia di non curare davvero.
Riferimenti
Gordon D. Schiff. AI-Driven Clinical Documentation — Driving Out the Chitchat? N Engl J Med May 10, 2025. DOI: 10.1056/NEJMp2416064. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMp2416064
Microsoft Dragon Copilot. https://www.microsoft.com/en-us/health-solutions/clinical-workflow/dragon-copilot
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